(Pietroburgo 1863 - Leningrado 1927) scrittore russo. Nato a Pietroburgo in una famiglia di umile estrazione, fu maestro e poi ispettore scolastico in cittadine di provincia. Nel 1890 fu trasferito a Pietroburgo, dove entrò in contatto con i circoli modernisti e simbolisti; dopo i primi successi letterari, poté dimettersi dall’insegnamento e vivere dell’attività di scrittore. Il capolavoro in prosa di S. è Il demone meschino (1905), che alcuni critici giudicano il più perfetto romanzo russo dopo Dostoevskij. L’apparente realismo dell’ambientazione (il sottomondo burocratico, piccolo-borghese e piccolo-nobiliare di una cittadina russa) nasconde un vasto disegno simbolico, in cui la vita di provincia, argomento di molta letteratura satirico-sociale, diviene cupa allegoria della vita, con l’inesorabile presenza del male che inquina e sconfigge ogni manifestazione di bontà e purezza. Nella squallida, meschina malvagità di Peredonov, il protagonista del romanzo, e del suo alter ego allucinatorio, il demone Nedotykomka, sembra quasi concludersi con irrevocabile brutalità la romantica, titanica vicenda dei più famosi «demoni» dell’Ottocento russo (dagli eroi di Lermontov a certi personaggi di Dostoevskij). Tra gli altri romanzi di S. ricordiamo Sogni angosciosi (1896), che rivela spunti autobiografici nella vicenda di Login, maestro in un’oscura città di provincia, e La leggenda che si va creando (1908-12), interessante racconto, al limite della fantapolitica, in cui si riflettono echi del contemporaneo atteggiamento rivoluzionario di S. insieme alle morbose figurazioni della sua immaginazione sottilmente perversa. Una parte rilevante dell’opera di S. (autore anche del romanzo L’incantatrice di serpenti, 1921, di numerosi racconti e di alcune opere teatrali) è occupata dalla poesia, espressione fra le più significative del simbolismo russo: Versi (1896), Il cerchio fiammeggiante (1908), Cielo azzurro (1921). Con un linguaggio allusivo ed emblematico, quasi classico nella sua concisa semplicità lessicale e sintattica, S. evoca il nodo centrale della sua ispirazione; l’ambigua reversibilità della purezza e della bellezza (simboleggiate nell’infanzia, nella nudità e nell’amore), pronte a dileguare in immagini di volgarità e squallore da cui il poeta cerca conforto in sognanti visioni di un’immaginaria vita precedente o in fantastici mondi d’intatta felicità.